novembre
04
2016

Didacus, il super Chardonnay per Diego

[Dal Corriere della Sera]

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Didacus, il super Chardonnay per Diego

04/11/2016 | di LUCIANO FERRARO

Lo chiamavano Didacus. Era un monello, quinto di sette figli. Diventava Dieguzzo quando, bambino buono, inteneriva i genitori. Tornava Didacus se li faceva arrabbiare. Sentendosi in colpa, pensava gli urlassero Luciferus. Settant’anni dopo, diventato il patriarca del vino siciliano, Diego Planeta osserva quel nomignolo su un’etichetta nera.

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Diego Planeta

Figli e nipoti gli hanno dedicato un super Chardonnay. Diego Planeta è nato 76 anni fa nella Sicilia che Vitaliano Brancati, lo scrittore de “Il bell’Antonio”, descriveva sul “Corriere”, nelle vendemmie di luglio “coi carri zeppi di caratelli e di quartaroli. L’odore del mosto rende l’aria vinosa e densa; i polmoni la bevono e il palato l’assapora. I sogni sono gravi e felici”.

Francesca Planeta

Francesca Planeta

Un giorno il padre (don Vito, barone Planeta di Santa Cecilia) non l’ha chiamato né Dieguzzo né Didacus, solo Diego. Il bambino era diventato diciottenne ed era l’ora di sostituire il genitore malato alla guida dell’azienda agricola: “Tocca a te”. Il giovane Planeta ha un’intuizione: la Sicilia agricola, il secolare granaio del Mediterraneo, deve puntare tutto sul vino. Guida la cantina sociale Settesoli a Menfi, chiama l’enologo Giacomo Tachis (quello del Sassicaia), il sociologo Giampaolo Fabris, il professor Attilio Scienza. Porta vitigni internazionali, convince nobili e contadini a stare uniti, perché il mondo vuole un nuovo vino, non più quello sfuso da uve pestate con i piedi.

Didacus, il nuovo vino

Didacus, il nuovo vino

“La viticoltura siciliana – racconta Diego in una lettera che accompagna ognuna delle 6969 bottiglie di Didacus – aveva le scarpe strette, era indispensabile una spinta all’innovazione”. L’era Planeta a Settesoli, diventata una delle coop del vino più importanti d’Europa, è durata 40 anni. Intanto Diego trasforma anche la sua azienda. “Gli agrumi si vendevano a prezzi così bassi che conveniva lasciarli lì – ricorda Francesca Planeta, la figlia – li abbiamo sostituiti con vigneti”. Nell’85 vengono piantati i primi 4 ettari di Chardonnay a Menfi. “Si torna ai tempi degli Orleans – pensa Diego – con le varietà d’oltralpe coltivate nelle loro terre isolane che allietavano i banchetti delle corti europee”. Quattro anni dopo arriva dall’Australia l’enologo Carlo Corino, “mago piemontese dello Chardonnay dei climi temperati”.

Alessio Planeta

Alessio Planeta

Nel 1994 il debutto: “a una degustazione di Chardonnay italiani, con le etichette nascoste, il nostro batte tutti”, si entusiasma ancora Francesca. “Un giorno mi portò con mio cugino Alessio su una collina e ci disse che tutti quei vigneti sarebbero stati nostri. È così è stato”. Dopo l’intuizione sui vitigni internazionali, Diego decide di investire a Vittoria sul Cerasuolo, a Noto sul Nero d’Avola, sul Carricante lungo i pendii dell’Etna.

Le tenute sono diventate sei: 400 ettari, 2,3 milioni di bottiglie, un uliveto e una foresteria. Diego continua a sovrintendere ma ha passato la mano ai più giovani: Francesca, Alessio, Santi, Chiara e Marcello Arici (Giovanni segue il vivaio, grande azienda di piantine per ortaggi). Sono loro ad aver pensato allo Chardonnay Didacus, a 30 anni dal primo prodotto dai Planeta. Un omaggio al patriarca e al vitigno che è stato fin dall’inizio l’icona della famiglia. Le uve sono selezionate nel vigneto storico. Prima di Natale le bottiglie saranno sul mercato. La vendemmia è quella del 2014.

Santi Planeta

Santi Planeta

In una scheda dettagliata come un report scientifico, ci sono tutte le informazioni immaginabili: dal numero delle piante per ettaro (3.787), alla resa per pianta (1,150 kg) fino alla provenienza del legno delle barriques Remond usate per 10 mesi (foreste Nevers, Vosge e Allier).

Un vino dorato, che profuma di pesche e miele, con un corredo di potenza ed equilibrio in più del fratello del 1994. Dentro Didacus c’è Diego, una quercia. “Con il coraggio e la pulizia di buttare a terra le vecchie foglie”, come scrive Brancati, e di affidarsi alle nuove generazioni, un albero che “dopo aver prodotto le foglie che han fatto ombra ai nostri amori dell’anno scorso, si prepara a produrre foglie che faranno ombra ad amori di altri”.

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